La scuola italiana versa in uno stato di immobilismo che desta non poche preoccupazioni. Il livello degli apprendimenti risulta al di sotto della media europea e, a partire dalla scuola secondaria di primo grado, si rileva un peggioramento costante. Ad aggravare il quadro si aggiunge la grande varietà territoriale interna, riflesso di uno storico squilibrio tra Nord e Sud del nostro Paese dove, nell’ultimo anno, circa la metà dei maturandi non rivela competenze sufficienti in Italiano e Matematica.
A questi esiti contribuisce una gestione poco efficace delle risorse scolastiche, a partire dall’organico docente. Rispetto ad altri Paesi, infatti, a parità di studenti l’Italia presenta il numero più alto di insegnanti e con l’età media più elevata, il peggior trattamento economico e uno sviluppo di carriera praticamente nullo. È inevitabile che questo insieme di fattori critici si riversi sulla qualità della didattica, già peraltro depotenziata da spazi scolastici inadeguati – e in generale da un patrimonio edilizio spesso troppo datato –, e da una gestione del tempo scuola che di fatto ostacola l’innovazione metodologica. Eppure questo scenario non dipende dalla carenza di risorse.
L’autonomia scolastica, intesa come programmazione elastica di orari, curricula e programmi calata nel singolo contesto, con un sistema di incentivi per il corpo docente, può rappresentare un vero cambio di rotta.